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Oltre la superficialità di come viene presentato il Vibe-Coding

Introduzione

Nel panorama attuale dello sviluppo software, il termine “vibe-coding” sta guadagnando popolarità, spesso accompagnato da meme, ironia e una certa dose di fraintendimento. Il video allegato su YouTube ne è un esempio lampante: più che una entusiasment presentazione a me sembra una parodia che esaspera i luoghi comuni della programmazione moderna, tra prompt casuali, risultati improbabili e un atteggiamento quasi fatalista verso l’AI. Ma cosa significa davvero vibe-coding? E, soprattutto, cosa non è?

Qui mi propongo di fare chiarezza, partendo proprio dal video per smontare gli stereotipi e approfondire il vero potenziale (e i rischi) della programmazione assistita dall’intelligenza artificiale. Provo ad analizzare il fenomeno, il ruolo di piattaforme come Replit, e spieghare perché un approccio superficiale e “vibrazionale” – come quello mostrato nel video – rischia di danneggiare la cultura dello sviluppo software più di quanto non la arricchisca.

Cos’è davvero il Vibe-Coding?

Definizione e contesto

Il termine vibe-coding nasce come espressione ironica per descrivere un modo di programmare guidato più dall’umore del momento che da una metodologia strutturata. In senso stretto, il vibe-coding si riferisce a un approccio creativo, spesso improvvisato, in cui il programmatore si affida all’ispirazione, all’intuizione e, oggi, sempre più spesso, agli strumenti di AI generativa (come ChatGPT, Copilot o Replit Ghostwriter) per produrre codice rapidamente, senza una pianificazione rigorosa.

Il rischio della superficialità

Sebbene la creatività sia fondamentale nello sviluppo software, il vibe-coding rischia di ridurre la programmazione a una sequenza di tentativi ed errori, dove la qualità e la manutenibilità del codice passano in secondo piano. L’uso dell’AI, se non accompagnato da competenze solide e da una visione critica, può portare a risultati fragili, vulnerabili e difficilmente scalabili.

Replit: La piattaforma che ha democratizzato il coding (ma non il vibe-coding)

Replit è una delle piattaforme più innovative degli ultimi anni, nata con l’obiettivo di rendere la programmazione accessibile a tutti, ovunque e in qualsiasi momento. Grazie a un ambiente di sviluppo cloud-based, Replit permette di scrivere, eseguire e condividere codice in decine di linguaggi, senza installazioni complesse.

Con l’introduzione di strumenti di AI come Ghostwriter, Replit ha reso ancora più semplice la generazione automatica di codice, la correzione degli errori e la spiegazione delle soluzioni. Tuttavia, Replit non promuove il vibe-coding superficiale: la piattaforma offre strumenti potenti, ma spetta all’utente decidere come usarli. L’approccio professionale prevede sempre una progettazione attenta, la scrittura di test, la documentazione e la revisione del codice – tutte pratiche che il vero vibe-coder dovrebbe integrare nel proprio workflow.

Il video “Interview with Vibe Coder in 2025”: Una parodia che mostra cosa non è il vibe-coding

Il video mostrato lo considero più una satira pungente della programmazione moderna, in cui il protagonista si affida completamente all’AI, lancia prompt a caso, ignora la pianificazione e si lascia trasportare dall’umore del momento. Il risultato? Dal video sembrerebbero applicazioni accattivanti e remunerative (ma dobbiamo programmare solo al fine di far soldi? ma questo è un’altro argomento). Invece il risultato di un approccio simile sono progetti caotici, errori non risolti, dati sensibili esposti, workflow privi di controllo e una totale assenza di responsabilità.

Questa rappresentazione, seppur divertente, rischia di rafforzare un pregiudizio: che programmare con l’AI sia un’attività casuale, priva di metodo e di valore tecnico. In realtà, la programmazione assistita dall’AI richiede ancora più attenzione, spirito critico e capacità di valutazione. L’AI può accelerare i processi, suggerire soluzioni e automatizzare task ripetitivi, ma non può sostituire la comprensione profonda del problema, la progettazione architetturale e la responsabilità etica del programmatore.

Perché il video non aiuta i programmatori (e cosa dovrebbero fare invece)

Il video mostra esattamente ciò che non bisogna fare:

– Affidarsi ciecamente all’AI senza capire cosa stia facendo il codice generato.
– Ignorare la progettazione, i test, la documentazione e la sicurezza.
– Trattare la programmazione come un gioco di fortuna, anziché come una disciplina tecnica e creativa.
– Diffondere l’idea che l’AI possa sostituire la competenza, la collaborazione e la riflessione critica.

Al contrario, i programmatori dovrebbero:

– Usare l’AI come uno strumento di supporto, non come un sostituto del pensiero umano.
– Integrare l’AI in un workflow strutturato, con attenzione alla qualità, alla sicurezza e alla manutenibilità del codice.
– Continuare a formarsi, sperimentare e collaborare con altri sviluppatori.
– Coltivare una cultura della responsabilità, sia verso il proprio lavoro che verso la comunità.

Alcune Best Practices per la programmazione assistita dall’AI

L’adozione dell’intelligenza artificiale nello sviluppo software, soprattutto nelle forme più recenti di vibe-coding e AI-assisted coding, offre vantaggi straordinari in termini di produttività e rapidità. Tuttavia, la velocità non deve mai andare a scapito della robustezza, della sicurezza e della qualità del codice. Come sottolinea il documento di Vittorio Della Rossa, la vera sfida è trovare un equilibrio consapevole tra l’accelerazione offerta dai Large Language Models (LLM) e la necessità di mantenere alti standard ingegneristici.
Ecco le best practice fondamentali per sfruttare al meglio la programmazione assistita dall’AI, evitando i rischi tipici di un approccio superficiale o “vibrazionale”.

Evita i “one-shot prompt”: privilegia l’interazione iterativa
Uno degli errori più comuni nell’uso dell’AI generativa per il coding è affidarsi a prompt singoli e generici, aspettandosi soluzioni definitive. La programmazione efficace con l’AI richiede invece un dialogo continuo:
  • Scomponi il problema in sotto-task e affrontali uno alla volta.
  • Affina i prompt in base alle risposte ricevute, chiedendo chiarimenti, ottimizzazioni o alternative.
  • Valuta criticamente ogni suggerimento, come faresti con il codice scritto da un collega junior.
Esempio pratico:
Invece di chiedere “Scrivi una REST API per la gestione degli utenti”, guida l’AI passo dopo passo:
  1. “Definisci la struttura dati per un utente.”
  2. “Crea l’endpoint per la registrazione.”
  3. “Aggiungi la validazione dei dati.”
Questo approccio riduce errori e favorisce la comprensione del codice generato.
Esplora alternative e confronta soluzioni
L’intelligenza artificiale può proporre molteplici approcci allo stesso problema.
  • Chiedi esplicitamente di esplorare soluzioni alternative: “Mostrami un approccio diverso per gestire la concorrenza in questo modulo.”
  • Valuta pro e contro di ciascuna soluzione, scegliendo quella più adatta al contesto.
Esempio pratico:
“Qual è la differenza tra usare una coda asincrona e un thread pool in questo scenario? Quale soluzione è più efficiente per carichi elevati?”
Documenta ogni passaggio del processo
La documentazione è spesso trascurata nel vibe-coding, ma resta fondamentale per la manutenibilità e la collaborazione.
  • Chiedi all’AI di generare documentazione sia per il codice che per l’architettura.
  • Utilizza prompt come: “Scrivi i commenti per questa funzione”, oppure “Crea una breve documentazione per l’API sviluppata”.
Esempio pratico:
“Genera una tabella riassuntiva delle dipendenze di questo microservizio.”
Forma il team su prompt engineering e AI literacy
La qualità dell’interazione con l’AI dipende dalla capacità di formulare prompt efficaci e di interpretare le risposte.
  • Investi nella formazione su prompt engineering, comprensione dei limiti dei LLM e valutazione critica dei risultati.
  • Promuovi una cultura della sperimentazione consapevole e della condivisione delle best practice.

Conclusione

La programmazione assistita dall’AI rappresenta una svolta epocale, ma richiede un approccio maturo, strutturato e collaborativo. Le best practice qui elencate aiutano a evitare i rischi di superficialità e debito tecnico tipici del vibe-coding “improvvisato”, trasformando l’AI in un potente alleato per la produttività, la qualità e l’innovazione.
Solo così sarà possibile cogliere i benefici della rapidità senza sacrificare la robustezza e la sicurezza del software.
Se vuoi approfondire ulteriormente ciascuna best practice con esempi, casi d’uso reali, checklist operative o linee guida per team di sviluppo, chiedi pure: posso espandere ogni punto in modo dettagliato per raggiungere la profondità desiderata!